
Nel commemorare il novantanovesimo anno dalla morte di Rodolfo Valentino ci piace far notare che i dettagli della sua vita estremamente avventurosa sono a noi noti attraverso le biografie pubblicate nel tempo, dal momento della sua morte (23 agosto 1926).
Fu allora che si scatenò un inatteso boom editoriale e in poco tempo apparvero molte biografie, scritte velocemente e di scarsa autorevolezza. Spesso si trattava di storie infarcite di pettegolezzi il più delle volte inventati, comprese le leggendarie avventure amorose. Così nel tempo sono state diffuse impunemente tante sciocchezze sul conto di Valentino senza che alcuno potesse contestarle.
Il primo biografo, per non dire il più veloce, fu George Ullman: più che giustificato perché negli ultimi anni di vita dell’attore egli fu manager, direttore commerciale, consigliere e anche amico di famiglia dello stesso, e quindi titolare di una invidiabile conoscenza da vicino.
Ma la cosa più singolare è che entro la fine dello stesso anno 1926 uscì sorprendentemente una seconda biografia in Francia, scritta ovviamente in francese.
Autore fu Edouard Ramond, con il titolo “Le roman d’une etoile: la vie amoureuse de Rudolph Valentin, Paris 1926, Librairie Baudinière. Il testo fu immediatamente tradotto in italiano e il 10 dicembre 1926 pubblicato da Mondadori con il titolo “La vita amorosa di Rodolfo Valentino, traduzione di Enrico Picen, Verona 1926.
A discapito del titolo, dal quale si evincerebbe il racconto di veri o presunti amorazzi del nostro Mito, si tratta di una biografia seria e intelligente, supportata da una invenzione letteraria di tutto rispetto, con poche concessioni a fantasie e pettegolezzi.
Nella narrazione proposta da Ramond il racconto parte descrivendo il lavoro di Valentino sui vari set cinematografici. Poi descrive le pause familiari, nell’intimità della casa, con Natacha.
Rilassato sul divano, nelle volute di fumo della pipa ritrova il suo passato. Rivede il panorama agreste di Castellaneta dove i genitori sono considerati dei “pezzi grossi” e rispettati, “lui veterinario e lei dal nome dolce e strano Valentina d’Antonguolla”. L’autore ignora che i titoli nobiliari derivano dalla linea maschile e cioè dal veterinario, ma è un peccato veniale che riportano tutti.
Ramond si sofferma molto su un’avventura veneziana probabilmente tutta inventata.
Raccontando di Bettina, una ragazza conosciuta a Castellaneta, figlia di un umile contadino emigrato per caso a Venezia. Bettina era sbocciata come un fior di melograno e Rodolfo (16 anni) si sentì attratto da lei. Ebbe il permesso di frequentarla e di condurla a spasso ma la continuazione della loro amicizia fu impedita dalla improvvisa decisione familiare di emigrare in America.
Al ritorno a casa da Venezia, deluso per non aver superato la prova per entrare in marina, bisognava decidere il da farsi. Su suggerimento di sua madre avrebbe potuto occuparsi di persona delle terre di loro proprietà e perciò decise di andare a Genova a conseguire il diploma di perito agrario.
Con il diploma conseguito non ci fece niente. Trovò la forza di confessare a sua madre che i campi non erano fatti per lui e andò a tentare la sorte a Parigi dove fu protagonista - così racconta Ramond - di nuove singolari avventure per la verità poco credibili.
Ritornato ancora una volta deluso a Castellaneta, Rudy maturò l’idea di andare via, in America.
Con quattromila dollari di sua madre viaggiò sul transatlantico Cleveland, in seconda classe. Egli stesso animava la vita sulla nave organizzando balli nel salone comune e ben presto attirò anche gli eleganti viaggiatori di prima classe (in realtà su sua esplicita richiesta e compensando la differenza di costo fu autorizzato a viaggiare in prima classe).
Arrivato in America cominciò a largheggiare con le spese e presto si trovò in difficoltà.
“Perché non date lezioni di ballo? Sulla nave ballavate benissimo!” fu il disinteressato consiglio di un italiano che aveva viaggiato con lui e ne aveva apprezzato l’altruismo.
La ruota girò e il ballo fu il suo ottimo sostentamento finché un amico, Norman Kerry, gli parlò del cinema di Los Angeles. Non saprei se è un refuso dell’autore o del traduttore l’affermazione che Norman Kerry fosse una donna. Noi sappiamo che era un uomo e che diede a Rodolfo tutto l’aiuto necessario per cominciare la sua luminosa carriera.
Ramond continua il suo lungo racconto esplicitando la sequela dei successi cinematografici e le vicende legate ai suoi due matrimoni. Aggiunge poi la sua ultima avventura sentimentale, dopo il divorzio con Natacha, con l’attrice polacca Pola Negri la quale, anche se Valentino smentisce, parla di imminente matrimonio, programmato per il gennaio del 1927.
Intanto però la morte lo spiava. L’epilogo avvenne il 23 agosto 1926 e la morte del Mito sollevò un oceanico clamore di una folla difficile da contenere.
Si rincorrevano notizie varie e tra queste tante fake news: i particolari del testamento, l’esistenza di varie assicurazioni sulla vita o addirittura nuove versioni sulle cause della sua morte.
Ramond nel racconto ricorda poi che al funerale fu assente l’ex moglie Natacha Rambova ben surrogata dalla presenza di Bettina: la ragazza castellanetana protagonista dell’idillio veneziano che Rodolfo, anni addietro, aveva sperato inutilmente di incontrare, incarnazione del sincero dolore degli umili, venuta insieme a sua figlia a deporre modesti fiori tra le tante sontuose corone.
Rodolfo – conclude Ramond – voleva morire da sceicco, cioè da vincente. Era il ritratto vivente dell’amore, “uno che amò molto e la stele funeraria potrebbe ornarsi dell’epitaffio antico «Danzò e piacque»”.
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