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PILLOLE DI STORIA: MASTRO ANTONIO VINCI ED IL CAPPELLONE DEL SACRAMENTO

PILLOLE DI STORIA: MASTRO ANTONIO VINCI ED IL CAPPELLONE DEL SACRAMENTO PILLOLE DI STORIA: MASTRO ANTONIO VINCI ED IL CAPPELLONE DEL SACRAMENTO | © n.c.

L’allestimento del Sepolcro della Chiesa Madre, fino agli anni sessanta, era prerogativa dell’artigiano Antonio Vinci, un bravissimo calzolaio che, legatissimo a quell’ambiente, nei quindici giorni precedenti il giovedì santo, si impegnava a tempo pieno, dando sfogo alla sua inventiva ed alle sue intuizioni di paratore.

Ecco come Paolo Catucci racconta, da par suo, l’impegno e l’arte di quest’uomo nella sua ritualità e devozione.

Egli per tanti anni allestì il Sepolcro – come era prescritto – nel cappellone del Sacramento, con una galleria policroma di tessuti e di frange, caratterizzata dal una prospettiva ineccepibile.

Poi, mastro Antonio volle tentare addirittura negli spazi meno compressi dell’ampio presbiterio; e qui il gioco gli riuscì, dando più respiro al suo estro ed alle sue non comuni abilità di paratore sacro.

Le sue erano realizzazioni vaste, di gusto spagnolesco, con arcate di stoffe che innalzava precise, ampie e d’effetto, senza mai scadere nella ripetitività degli schemi, ogni anno diversi e più compositi, con drappeggi che calavano morbidi e sinuosi, nei loro toni di un rosso cupo, che creavano tanta atmosfera.

Era così impegnato nella realizzazione del Sepolcro, che non ammetteva intromissioni, non sottostava a suggerimenti e non andava a casa nemmeno all’ora di pranzo: era affidato al priore della congrega o a qualche altro l’incarico di provvedere ai pasti, in loco.

Una volta terminato il suo impegno, lo vedevi poggiato sulle sue grucce, allontanarsi verso la porta della chiesa e di lì fermarsi a guardare, a controllare, ad intervenire per le correzioni dell’ultima ora.

Tutto faceva gratis, o per poco, come per voto, pago di una soddisfazione che immancabilmente riceveva al giovedì santo, alla visita dei Sepolcri.

Mastro Antonio era lì, all’angolo della chiesa, quasi all’entrata, poggiato sulle grucce o seduto a malapena, che contemplava la sua opera – effimera di un solo giorno – e riceveva le congratulazioni e i complimenti di quanti si avvicendavano per il giro consueto.

Ecco che stringeva la mano, tante mani, soddisfatto, con un breve sorriso, con gli occhi che trasparivano orgoglio, e spiegava, chiariva il motivo dominante della sua opera, sbirciando di tanto in tanto il cartello civettuolo, appuntato con gli spilli sul correre del drappo: A devozione del sig. Antonio Vinci.

Era quella l’ora della gloria, dell’unanime riconoscimento, per un autentico artigiano, che usciva dal chiuso della sua discrezione, per un pizzico di notorietà, senza mai scadere nella vanagloria, e sempre ricevendo motivi nuovi per il Sepolcro del successivo giovedì santo.

Redazione ViviMassafra

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