
La lettura delle Sacre Scritture offre un immenso panorama di informazioni su erbe, piante, alberi da frutto, cibi e bevande dal profondo e, spesso, nascosto significato simbolico. Nella nostra gastronomia pasquale i preparano pietanze con richiami alla Quaresima e alla Pasqua.
In questo periodo, infatti, la gastronomia castellanetana vede un grande protagonista: ù calzòn' (= il calzone di cipolla). Non si tratta di un panzerotto, ma di una speciale focaccia farcita. Infatti il nome potrebbe richiamare il pantalone che viene "riempito con le gambe" quando s'indossa ma, in realtà, il termine calzone deriva dal latino calx calcis (= calcagno) poiché la focaccia rustica si riempie come una ‘‘grossa calza’’!
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Si ha notizia di una torta salata simile al nostro calzone di cipolle già a Firenze nel Medioevo (esattamente nel 1283). I monaci della basilica di San Lorenzo la preparavano in agosto chiamandola porrata poiché la farcitura era composta da porri. La ‘‘porrata’’ era talmente apprezzata tanto da dare il nome alla funzione liturgica: ‘‘Uffizio della Porrea’’.
La nostra tradizione tipicamente paesana, invece, esige che il calzone non contenga porri e sia in tavola tra il Giovedì e il Venerdì Santo, giornate in cui si fa penitenza, memoria della Passione e Morte di nostro Signore e quindi astinenza dalle carni o, addirittura, digiuno. Nei paesi limitrofi il calzone di cipolle si prepara all’Immacolata o, comunque, non è tipico della Settimana Santa come accade invece a Castellaneta.
Nel ‘‘calzone’’ i riferimenti alla Pasqua ebraica ci sono tutti. Quindi anche questa focaccia farcita è ricca di simboli. Incominciando dagli ingredienti che sono sette.
La pasta è azzima, poiché è fatta soltanto di farina e olio. E questo è il primo simbolo: gli Ebrei non fecero in tempo a far lievitare i loro pani mentre fuggirono dall'Egitto guidati da Mosè (vedi il libro dell'Esodo).
La farcitura prevede: cipolle lunghe, dette ‘‘sponsali’’ usate per le focacce delle feste di fidanzamento e per la ‘‘promessa’’ di matrimonio. Esse non sono le cipolle convenzionali (Allium cepa, fam. Amarillydaceae) e non sono neanche i porri (Allium ampeloprasum, fam. Amaryllidaceae), ma si tratta delle "cipolle porraie" (Allium fistulosum, fam. Liliaceae) che si ottengono dai bulbi estivi che producono i semi al secondo anno di coltivazione a cui si aggiungono per completare acciughe, olive e uvetta.
Le cipolle sponsali hanno un gusto sicuramente dolciastro ma anche una leggerissima nota amarognola e ricordano le "erbe amare" che gli Ebrei furono costretti a mangiare nel deserto durante il viaggio verso la Terra Promessa.
Le acciughe sono pesci, e il pesce è un simbolo cristiano, poiché in greco antico ‘‘pesce’’ si dice IKTHYS acronimo di Iesòus Kristòs Theoù Yiòs Sotér cioè ‘‘Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore’’.
Per quanto riguarda le olive: l'orto di Getsemani era un uliveto, dalle olive si ricava l'olio con cui venivano consacrati i re d'Israele e oggi si prepara l’olio crismale per l’unzione degli infermi e dei sacerdoti.
Infine l'apparente stranezza del calzone castellanetano è l’uva passa. In effetti cosa c'entra, in una focaccia salata, l'uvetta? In realtà, anche l'uvetta ha il suo significato: in aramaico l'uva senza semi – da cui si ottiene l’uva sultanina (che non c'entra niente con i sultani ottomani) – si diceva "hur", che ha la stessa radice dell'arabo "noor" (leggasi "nur") che vuol dire "luce". Quindi la Pasqua di Risurrezione come "nuova luce" per l’anima e la fede. Se poi ci fermiamo a pensare che dall'uva si ottiene il vino, il gioco è fatto...
In qualche famiglia si riscontra anche l'uso del pomodoro. Ovviamente il colore rosso è il chiaro riferimento simbolico al sangue versato da Cristo.
Cosimo Putignano

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