Il popolo ha amato le bande musicali, e un tempo quella era una vera e propria passione, che finiva addirittura per sfociare in un'arcaica forma di tifo. Non come quello sportivo, che spesso sconfina in volgare violenza, ma un tifo che appassionava i nostri avi fino a trasformarli, sulle note d'orchestra, in musici, critici, esteti.
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E proprio grazie ad alcuni tra gli ultimi "ultras dell'arte" che abbiamo pensato di raccogliere qualche notizia sulla tradizione bandistica della nostra città, che affonda le proprie radici in secoli di storia, a partire da quel 1857 quando, secondo la tradizione, l'appassionato don Tommaso Cantore riuscì a organizzare a Mottola la prima "fanfarra musicale".
Per non perdersi nella caligine di tempi troppo lontani, abbiamo preferito raccogliere della nostra tradizione bandistica solo quello che resiste ancora nei ricordi di persone viventi, a partire dal dopoguerra, da fonti diverse. Siamo entrati nei discorsi che, a feste patronali finite, nelle piazze e nei caffè, hanno per argomento una conoscenza confusa di cose musicali, di flicornini calanti, di clarinetti che mangiano note e di tromboni stonati nella romanza del secondo atto.
«Mottola era famosa in tutt'Italia per la sua banda», l'hanno ripetuto in molti, a evocare un passato dagli alti fastigi di nome e d'arte. E probabilmente è vero, a giudicare dai nomi dei maestri che si sono succeduti alla guida dello storico concerto, che spesso sono stati dei veri mostri sacri nel panorama musicale da nord a sud. È proprio intorno a questi nomi che si sviluppa il "mito" della banda di Mottola, intorno al quale ruotano aneddoti e storie curiose che sono l'essenza della nostra rubrica.
Il nostro viaggio parte col maestro Dino Milella, con il quale la banda (tra il 1956 e il 1960) raggiunse l'apice della fama, con successi artistici e applausi di folle. Ne abbiamo parlato con Federico Francavilla, storico appassionato, che lo ricorda direttore d'orchestra con la sua caratteristica barriera, sulla quale era solito accasciarsi a causa dei frequenti malori. «Il maestro Milella fu accoltellato, per questo soffriva di abituali dolori fisici.
All'epoca - racconta Federico -, fare il musicante era un vero e proprio mestiere, e perdere il lavoro (ieri come oggi, ndr) era una tragedia. Un suonatore di tuba non gradito, che non corrispondeva alle esigenze del maestro, fu mandato via, e dopo averlo minacciato lo accoltellò mentre faceva rientro a casa».
Lo stesso Milella, nel 1987, venne insignito della cittadinanza onoraria di Mottola dal sindaco Giuseppe De Bello, uno degli appassionati grazie ai quali nasce questo articolo. De Bello fu primo cittadino negli anni del maestro spagnolo Jorge Egea Perez, che in molti ricorderanno senz'altro in compagnia della moglie.
«Questa - ricorda Antonietta Bello, moglie del compianto Orazio Gentile, per alcuni decenni patron della banda - era una donna decisamente fuori dagli schemi. Pensate che da lei, per la prima volta, ho sentito pronunciare la parola "dieta", un ossimoro rispetto ai banchetti che ero solita preparare per i maestri».
Ma aldilà degli aneddoti, che affiorano in gran numero dalle labbra degli intervistati, è inconfutabile il legame affettivo che lega la città alla banda, tuttora altamente palpabile quando nelle feste patronali ci s'incanta ancora al suono di una melodia, ci si commuove al canto di una romanza d'opera, ci si esalta al ritmo brillante di una "ouverture".
Basti pensare ai mottolesi che, come il celebre compositore Oronzo Mario Scarano, si dedicarono nei secoli scorsi alla musica. Tra loro, qualcuno riuscì anche a far parte della banda di Mottola: «Un mio prozio - continua il "nostro" Federico -: Raffaele Quero, suonatore di trombone, dopo aver lavorato nella banda di Mottola emigrò in Argentina, dove fece parte dell'orchestra del teatro "Colón" di Buenos Aires, suonando anche sotto la direzione del celebre Arturo Toscanini».
La tradizione bandistica si riflette anche in una cassa armonica in pietra, costruita negli anni trenta in piazza Plebiscito, tempio della musica mottolese. Questo, prima di essere demolito negli anni cinquanta, era uno dei palchi orchestrali in muratura di cui restano ad oggi pochissimi esemplari, come ad Acquaviva delle Fonti, nel barese, e a Rapallo, in Liguria.
Nella Mottola odierna, però, anche quella bandistica è da iscrivere tra le tradizioni che sono andate perdute. Vuoi perché il popolo ha smesso di amare la banda, vuoi perché sono venuti meno i propositi di buona volontà e di mecenatismo per istituzioni del genere, ma la nobile tradizione bandistica di Mottola si è spenta, definitivamente, nel triste e nostalgico ricordo di un passato glorioso.
Andrea Carbotti