Si ripete ogni anno, nella settimana santa, il rituale delle processioni legate ai momenti della Passione di Gesù Cristo. Vissuto sul piano collettivo, questo rito stabilisce l’identità della nostra comunità, ne certifica la coesione e la sintonia.
Si tratta di una religiosità intensamente popolare, emozionante, partecipativa, soprattutto ripetitiva nei cerimoniali, ma proprio per questo attesa e condivisa, sia nei protagonisti che nel pubblico osservatore.
La sofferta e volontaria partecipazione di chi, spesso scalzo, in una fatica prolungata per ore e ore, con il peso dei simulacri, diventa momentaneamente protagonista della drammatizzazione, si unisce al cordoglio delle colonne maschili e femminili vestite a lutto e cantilenanti nenie struggenti.
È la partecipazione corale che crea quel legame di inclusività dove i protagonisti sono anche gli spettatori presenti.
Non va dimenticato che si tratta di un lavoro complesso che presuppone una macchina organizzativa ben rodata dove tutti i componenti (parrocchie, Cconfraternite, enti ecclesiastici e istituzioni) lavorano a pianificare, organizzare e prevenire.
Alla fine si può classificare come un momento culturale, cioè il richiamo alle tradizioni che esprimono la cultura del nostro territorio. Un evento che, con alti e bassi, si ripete dal 1850 e tiene legata la nostra comunità, senza distinzione di classe e di genere, mentre devozione e tradizione si fondono suscitando un positivo senso di appartenenza.
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