Per correggere gli errori commessi nella realizzazione dell’acquedotto comunale fu chiamato allora l’ingegnere Sir John Harris Nicolas che si trovava da noi perché impegnato nella costruzione della ferrovia e furono apportate le necessarie modifiche: per captare le varie sorgenti fu usata tubazione in gres (stoneware, una novità inglese, con materiale assai duro e resistente) e, per il percorso di discesa, tubazione in ghisa necessaria a sopportare la forte pressione generata dalla pendenza.
L’ingegnere inglese, con accorta disposizione progettuale, previde la raccolta dell’acqua di supero in un sottoposto abbeveratoio per animali prospettante l’attuale via Roma, nonché l’accumulo per la riserva idrica nella adiacente cisterna nuova. Con le sue correzioni si riuscì dunque, il 28 luglio 1871, ad inaugurare la fontana che aveva sei getti più lo zampillo centrale. Mentre gli amministratori ringraziavano il tecnico inglese con un’epigrafe posta al centro dell’abbeveratoio, un esperto e storico leccese, il De Giorgi, scriveva [La provincia di Lecce, 1882]: “La fontana è all’ingresso della città e ha sei getti. Quando il serbatoio di alimentazione è pieno il getto centrale è alto m. 13,80 e produce un bellissimo effetto. E’ la prima fontana di Terra d’Otranto”.
Successivamente il condotto, dalla fontana principale, si allungò per altri 800 metri “alimentando quattro colonnette pur in ghisa situate in quattro siti diversi, ciascuna delle quali è munita di due chiavette che danno acqua a volontà per chi la desidera”. Il sistema acquedotto prevedeva anche tre valvole ad incendio (dette hydrants) che con l’ausilio di tubi pieghevoli consentivano di spegnere eventuali incendi o a tenere pulite le fogne sotto le vie della città.
Dal momento che la fontana erogava una bella quantità d’acqua (circa 30 litri per abitante) si decise di portare l’acqua, mediante condotti secondari, derivati dal principale, fino all’interno dei fabbricati (non delle singole abitazioni) di coloro che richiedevano il servizio al costo annuo di 15 lire.
E tuttavia anche questo sistema nel tempo dette problemi legati alla salinità dell’acqua. “Le acque della sorgente contengono quantità di sali alcalini i quali incontrando nei tubi di creta inglese radici capillari di alberi di fichi e di viti che vi si intromettono dalle connessure di detti tubi, vi formano tale uno strato solido di essi sali e radici che ostruiscono i tubi”. Tale inconveniente comportava periodicamente la ricerca dei tubi ostruiti, l’acquisto di nuovi tubi inglesi e la sospensione, durante i lavori, dell’erogazione dell’acqua.
Un problema che “non poteva essere preveduto dall’ingegnere progettista Signor Nicolas [Harris] perché non fu fatta l’analisi chimica dell’acqua né si poté credere che radici capillari di fichi e di viti, che si trovano lungo la trincea, avrebbero potuto intromettersi nei tubi per le connessure di essi, eseguite con cemento idraulico”. Il problema derivava dalle tubature di captazione delle sorgenti lungo la trincea (lunga 350 metri) che era stata realizzata al Pozzo della Noce. E la soluzione definitiva, suggerita dallo stesso ingegner Nicolas Harris che nel frattempo era diventato il tecnico comunale, fu quella di rifare quella porzione di acquedotto “con muratura di mazzaro a volta della capacità da farvi accedere un fanciullo per mondarlo dei depositi che vi lascia l’acqua e delle radici di cui sopra”.
Soluzione deliberata il 23 settembre 1878 dal Consiglio comunale presieduto dal sindaco Francesco Meledandri e avente tra i consiglieri presenti anche lo stesso Mauro Perrone il quale nel suo trattato di storia, più tardi, scrisse: ”Possiamo andare orgogliosi, cittadini, che la città nostra sia stata una delle prime della Puglia a risolvere, senza grande aggravio della finanza comunale, l’arduo problema di fornire alla popolazione questo prezioso elemento tanto necessario ai bisogni della vita e dell’igiene, problema alla cui soluzione tante altre più cospicue e popolose mirano invano da molti e molti anni”.
Anche se negli anni del primo dopoguerra cominciò ad operare l’Acquedotto Pugliese cercando di risolvere l’atavica sete della Puglia, l’acquedotto comunale ebbe un successo crescente. Le utenze diventarono sempre più numerose e, nel tempo, i cosiddetti impiantini portarono l’acqua fin nelle abitazioni sia nelle zone più alte e più lontane (vicine alla gravina) sia nel resto del paese che si espandeva.
Cominciò a diventare insufficiente perché, nel periodo di massimo prelievo, la spinta perdeva pressione e l’acqua arrivava a stento.
In un primo tempo fu integrata la quantità d’acqua aggiungendo quella che arrivava dalla fonte Premurgiana, poi quella di Stornara e Tara finché, per una migliore ed uniforme distribuzione, si pensò di costruire un serbatoio di accumulo, nel punto più alto e cioè in Piazza Immacolata (allora Largo Seminario) facendolo alimentare però da una nuova e diversa sorgente e cioè il pozzo di Specchia.
Un fungo ingombrante che fu possibile demolire, in seguito a mutate condizioni d’uso derivanti da una generale revisione, all’inizio del 1997.
Rileggi la prima parte de "La storia dell'acquedotto comunale"
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