Quante cose si possono fare in nove anni? Quanti sogni si possono realizzare in questo arco di tempo? Flavia Ripa in nove anni ha studiato tanto conseguendo una laurea in Scienze Umanistiche con indirizzo Cinema alla Sapienza di Roma con una tesi sperimentale in corso di pubblicazione, un diploma al centro sperimentale della Scuola Nazionale di Cinema di Roma dove ha studiato "fonia per il cinema" ed ancora un diploma presso la Scuola di Teatro Professionale "Alessandra Galante Garrone" di Bologna.
Quando è andata via da Castellaneta, Flavia sapeva perfettamente di voler fare l'attrice di teatro ma non sapeva da dove cominciare. Per questo dopo la laurea ha iniziato a studiare teatro ed è entrata in quel girone infernale dei provini di ingresso per le maggiori scuole italiane di recitazione.
Le piccole fisiologiche delusioni dovute ai provini non l'hanno scoraggiata anzi, le hanno dato nuova forza per andare avanti nello studio della recitazione e contemporaneamente, grazie al diploma del Centro Sperimentale della Scuola del Cinema di Roma, ha iniziato la sua carriera da fonico di presa diretta conseguendo i primi importanti successi professionali.
Ha lavorato per la tv (Sky e La7) e per il cinema. Attualmente collabora con lo Studio Elenfant di Bologna per il quale realizza il suono di film e documentari e con Studio 12 di Milano per il quale realizza musiche e prese dirette.
Tra gli ultimi lavori di Flavia ricordiamo la postproduzione audio per il film "Matilde", in concorso al festival di Berlino ed il documentario "Generazione d'azzardo" prodotto dalla Magic Pictures di Roma.
Dopo aver studiato recitazione e lavorato con grandi maestri quali Vittorio Franceschi, Alessandra Frabetti, André Casaca, Bob Wilson, Daniele Salvo, Flavia approda a teatro con uno spettacolo di cui è anche autrice: "Esterno amore".
Il 22 febbraio scorso sei andata in scena con la pièce "Esterno Amore" presso la Galleria Manfredi di Lucera. Ti va di parlarci di questo spettacolo e di com'è stato tornare in Puglia per esibirsi sul palcoscenico?
Lo spettacolo è un insieme di pezzi, alcuni scritti da me e dal mio collega Vincenzo Costanzo ed altri tratti da Harold Pinter, Dario Fo e Franca Rame, Pierpaolo Pasolini. L'idea è quella di parlare della coppia mostrando gli effetti del disfacimento da usura: l'amore visto come la cosmogonia dei mostri. È una visione un po' cinica di questo sentimento. Esterno amore è un'ambientazione ma anche un concetto: tendiamo ad idealizzare una cosa, nello specifico l'amore, ma quando la possediamo, ci siamo dentro e pertanto non la vediamo più.
Esterno amore è la difficoltà di vivere l'amore come ce l'hanno insegnato; l'impossibilità ad avere una storia d'amore. La storia si muove dall'incontro al disfacimento della coppia attraverso pezzi di clown, prosa, improvvisazioni su musica. È stato strano recitare in Puglia perché sono fuori da nove anni e né i miei familiari né i miei amici più stretti sanno esattamente ciò che faccio nella vita. Mi sono confrontata con una mentalità che da molto tempo avevo lasciato. Tornare significa vedere le cose sempre un po' immutate come una sorta di discrasia. È stata un po' una prova del nove perché il pubblico è disabituato ad un certo tipo di rappresentazione teatrale mentre è più avvezzo alle messe in scena in dialetto.
Il fatto di essere arrivata a loro anche se in un modo differente vuol dire che se una cosa è fatta bene può piacere a tutti. Questo ha esorcizzato la mia paura del ritorno. Mi sono ricongiunta a qualcosa che mi appartiene.
Oltre ad "Esterno Amore" stai preparando uno spettacolo con la Compagnia Teatrale del Bivio. Ti vedremo di nuovo recitare in Puglia, stavolta magari a Castellaneta?
Non lo so, non dipende da me e non so tecnicamente come vengano gestiti i meccanismi di produzione. Ho anche del materiale prodotto da me e mi piacerebbe portarlo a Castellaneta ma non so da dove cominciare. In particolare mi piacerebbe portare qualcosa di innovativo e di culturalmente stimolante in questa terra che a me personalmente non ha mai dato molto.
Da tre anni lavori come fonico di presa diretta, montatrice audio e sound designer. Ci spieghi in cosa consiste il tuo lavoro?
Il fonico di presa diretta nel cinema si occupa di registrazione delle situazioni che si verificano sul set quindi dialogo ed effetti sonori di ambiente. Il montaggio ovvero l'editing è legato alla postproduzione; una volta finito il montaggio video, l'audio passa in mano al montatore audio che pulisce la presa diretta, aggiunge tutto ciò che viene prodotto dai rumoristi e può creare delle particolari situazioni sonore con il regista. Per esempio il suono di uno sparo è difficile da catturare in presa diretta per cui viene riprodotto in post produzione. Il sound designer è colui che inventa un suono o che decide come ti deve "suonare" un film.
Mi spiego meglio: se io faccio un film noir, questo suonerà in maniera diversa rispetto ad un film di altro genere grazie a suoni che arrivano al fruitore in maniera subliminale con effetti ed ambienze sonore. In poche parole è la mente creativa del film o del video. Io faccio tutte e tre le cose perché in Italia queste tre figure sono spesso fuse soprattutto nelle piccole e medie produzioni.
Qual è la produzione cinematografica per la quale ti sarebbe piaciuto occuparti della parte audio?
Lavoro molto nei documentari che rientrano in un circuito di nicchia. In generale mi piacerebbe lavorare con gente attenta al suono anche se in Italia c'è una tendenza al risparmio del suono per via della grande tradizione della fotografia e della bella immagine. Tuttavia i registi più giovani curano anche l'aspetto del suono. Per esempio Matteo Garrone e Paolo Sorrentino sono registi attenti all'estetica del cinema anche dal punto del vista del suono per cui sarebbe interessante lavorare con loro. Per quanto riguarda registi esteri mi piacciono molto Gus Van Sant, Michel Gondry e Paul Thomas Anderson.
Qual è stata fino ad ora la tua soddisfazione più grande nel campo lavorativo?
Diverse ed in diversi settori. Il mio primo lungometraggio come fonico ad esempio ha ricevuto il premio Cipputi a Torino. Si tratta del documentario di Maura Delpero "Nadea e Sveta". Sono molto soddisfatta del jingle che ho composto nel 2010 per la campagna pubblcitaria "Ciak si viaggia" della Eni. Sono contenta di "Esterno amore" perché è il mio primo approccio alla scrittura scenica. Sono soddisfatta di Caino, una performance di poesia e movimento ed ispirata al Caino di Mariangela Gualtieri. E grande soddisfazione mi ha dato anche lavorare come fonico per "A casa non si torna" documentario di Lara Rongoni in collaborazione con Franca Rame, sulle donne in Italia che svolgono lavori prettamente maschili.
Lavori con il suono e con la musica ma la tua passione per quest'ultima ha radici lontane; hai studiato chitarra classica per sei anni e successivamente chitarra elettrica e pianoforte da autodidatta fino a fondare un gruppo di post rock strumentale, i Nevae, durante il tuo periodo universitario.
Ti piacerebbe intraprendere la carriera della musica tornando un po' alle origini?
Con i Nevae facevamo post rock strumentale e siamo passati all'attenzione di un celebre gruppo post rock italo-francese, gli Ulan Bator. Il leader ci propose nel 2008 di incidere una demo a Milano. Ma come tutte le cose troppo belle per essere vere, il gruppo si è sciolto. Mi piacerebbe tornare alla carriera di musicista o quantomeno dare più spazio a questa passione. Mi rendo conto però che nella vita bisogna fare delle scelte ed alla fine ho scelto di lasciare che la musica rimanesse per me una cosa più "intima".
Ricordi il giorno in cui hai lasciato Castellaneta?
Era fine agosto del 2003, dopo il diploma di maturità classica. Sono partita ed in quel momento mi è mancato il paese. Il distacco è stato difficile anche perché sapevo cosa volevo fare ma non sapevo ancora come.
Torni spesso a Castellaneta?
Torno mediamente due volte l'anno.
Bologna, Milano, Roma, Castellaneta: per te che significato ha la parola "casa"?
Premesso che mi sembra di essere sempre altrove in ogni posto in cui vado, per me casa è Roma perché la mia formazione postadolescenziale universitaria ed umana si è sviluppata lì. A Roma ho imparato a relazionarmi con il mondo dei grandi. La casa di Castellaneta la sento meno mia perché sono stata molto tempo fuori ed inoltre faccio un lavoro che non mi consente di stare ferma e di mettere radici. Esistono però delle caratteristiche che mi fanno appartenere alla mia terra natia e che solo da poco mi accorgo di avere. Ad esempio al nord mi dicono tutti che ho dei tratti gitani, cosa che mai nessuno mi ha detto quando vivevo a Castellaneta dove i miei tratti somatici rappresentano quasi la normalità.
Cinque cose di Castellaneta che metteresti in valigia e porteresti con te.
I paesaggi, la Tana dell'Orso che è il giusto compromesso tra il rustico ed il posto trendy che mancava a Castellaneta, le mangiate di carne in macelleria, il mare e... quell'orribile statua di Rodolfo Valentino!
Marilia Fico per ViviCastellaneta
I suoi lavori in giro per il web:
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